Il confino nel periodo fascista
L’istituzione del confino a Ponza da parte del regime fascista è datata 1928. I primi confinati arrivarono nello stesso anno e vennero alloggiati nel carcere penale borbonico, nel quale Pisacane aveva “reclutato” la maggior parte dei partecipanti alla sua storica e sfortunata impresa a Sapri. Ponza accolse il futuro presidente Sandro Pertini (Arrivò il 10 settembre 1935) e personaggi come: Giorgio Amendola, Lelio Basso, Pietro Nenni, Mauro Scoccimarro, Giuseppe Romita, Pietro Secchia, Umberto Terracini, Zaniboni e tanti altri, insieme ad esponenti slavi e greci, ras etiopici, indipendentisti libici. Molti dei confinati si trovavano negli edifici alle spalle del municipio, e della chiesa tra via Roma e Via Parata, anche se altrettanti si trovavano in altri palazzi ed in molte case private, che accolsero anch’esse gli esiliati. Quasi a tutti i confinati era consentito muoversi in uno spazio ristretto, che andava tra il tunnel di Sant’ Antonio attiguo a via dante, la contrada Guarini e la contrada Dragonara.
La situazione igienica sull’isola in quegli anni era veramente disastrosa. Come attesta la lettera di protesta scritta dal un confinato, Giuseppe Isola, il 12 ottobre 1929 e inviata al Ministero dell’interno: “Da una ventina di giorni tutti i confinati politici, salvo pochissime eccezioni, che alloggiano in abitazioni private, in seguito a disposizioni superiori e nonostante il grave pregiudizio per la loro salute, dormono nell’edificio denominato ‘Bagno’ malgrado non corrispondi affatto, neppure approssimativamente, alle norme più elementari dell’igiene. I locali oltre di essere umidi sono poco arieggiati e vi alloggiano circa duecentosettanta persone, delle quali ottanta in due corridoi. Lo spazio riservato ad ogni confinato è talmente ristretto che non tutti possono tenere presso di loro il corredo personale. Le latrine sono vicinissime ai dormitori ed emanano un fetore insopportabile”.
L’ambiente di Ponza ci viene descritto dal confinato Alfredo Misuri, ex liberale e già deputato fascista, caduto poi in disgrazia per le sue critiche alla dittatura, arrivato sull’isola nel 1930: “Il vero padrone dell’isola era il centurione Memmi, sempre in auge, ad onta dell’insuccesso del processone di Ustica, ma non ancora seniore. Per me il Memmi non ha avuto che sorrisi, ma, certo, era la bestia nera dei confinati, e, se le intenzioni potessero uccidere, egli sarebbe morto mille volte al giorno… Il paese è grazioso e panoramico; la vita vi è più confortevole che ad Ustica, sotto tutti i riguardi, ma una cappa di piombo grava addosso in questo che è veramente un carcere all’aperto… La vita confinaria assume tutt’altro aspetto di quello che aveva ad Ustica. Non più scuola di ‘filosofia’, non più ‘società della nafta’, non più conversazioni nella barberia confinaria che terminavano con una generosa spruzzata di ‘acqua della colonia’. La sola passeggiata da automi sull’arco di cerchio della via principale, percorsa da un capo all’altro cinquanta volte al giorno, ove si incontravano cinquanta volte le stesse persone che facevano come noi. Le stesse mense dei vari gruppi, servivano solo per soddisfare le necessità della vita fisica di chi le frequentava, ma non erano più quei cenacoli politici vivaci che avevo osservato a Ustica”.
I confinati giungevano a Ponza in piccoli gruppi, incatenati fra loro. L’impatto con la nuova vita era devastante. Oltre alla promiscuità nei cameroni, si dovettero adattare alla precarietà dei rifornimenti, alle angherie dei militi, alla mancanza di comunicazioni, alla fame e alla noia. Nonostante le privazioni, i confinati organizzarono biblioteche, mense autogestite, attività artigianali, corsi di studio.
Solo l’umanità dei ponzesi rese meno duro l’esilio – baracche sovraffollate, igiene disastrosa, cibo ed acqua scarsissimi, poche centinaia di metri per la passeggiata, controllo continuo anche di brevi conversazioni. Al momento dell’arrivo, i confinati ricevevano un libretto rosso sul quale erano indicate le 26 regole del confino. Ed i confinati spesso ricambiavano apportando all’isola la cultura che in quegli anni mancava. Tale linea, a lungo andare, non poté non incontrare l’ostilità del regime che intervenne nell’intento di spezzare lo spirito di solidarietà che animava queste attività sia sociali ed in parte commerciali. Si cercarono quindi pretesti a volte completamente inventati al fine di sottrarre ai confinati il controllo di certe iniziative e sopratutto degli esercizi commerciali. Lo spaccio di Ponza fu espropriato dalla direzione della colonia con la scusa infondata di alcuni reclami avanzati dai fornitori. Su questo specifico episodio ecco la lettera di protesta dell’addetto allo spaccio, Ferdinando Gadda, inviata al ministero dell’Interno:
“Il giorno 11 aprile corrente anno a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno, il sottoscritto amministratore dello spaccio confinati politici di Ponza, inviava l’esposto allegato alla presente a codesto ministero per informarlo della presa di possesso e gestione diretta da parte della colonia dello spaccio suddetto e per chiedere la restituzione di esso spaccio ai legittimi aventi diritto e per essi al sottoscritto amministratore godente la fiducia e il consenso della massa dei confinati. Poiché ha motivo di credere che tale esposto non è pervenuto a codesto ministero anche per il fatto che a un mese dalla data di spedizione non gli è ancora stata consegnato il documento di ricevuta ( come ho detto l’esposto fu inviato raccomandato con ricevuta di ritorno) lo scrivente profitta della presenza a Ponza di un ispettore generale di PS per consegnare ad esso, e nella speranza che questa volta giunga a destinazione l’esposto in parola”. Sulla carta, era loro proibito non solo di discutere di politica e fare propaganda, ma anche frequentare pubbliche riunioni, tenere relazioni con donne o ubriacarsi. Ma almeno dei primi tempi c’era una certa elasticità, che si irrigidi dopo lo smacco della fuga da Lipari nel 1929 di Carlo Rosselli, Emilio Lussu e Francesco Nitti. Quindi il regime mise in atto misure tese a impedire ogni possibilità di evasione e di comunicazione con l’esterno, incaricando di farle rispettare non solo le forze di polizia e i carabinieri, ma anche la milizia fascista. I confinati ritenuti più pericolosi furono fatti pedinare notte e giorno senza interruzione e la vitàa sull’isola si inaspì maggiormente.
Nel 1939 il trasferimento del confino di massa a Ventotene.
Nel 1942 vengono inviati a Ponza prigionieri greci, albanesi e slavi.
Nel 1943, dopo la caduta del fascismo, per ironia della sorte Mussolini viene condotto prigioniero proprio a Ponza, dove resta dal 27 luglio al 7 agosto.
Ultimo aggiornamento
23 Luglio 2024, 13:54